Hockenheim, 31luglio 1977, G.P. di Germania. La 312 T2 di Niki Lauda vola verso la vittoria.
Nei ritratti, da destra,Lauda, Carlos Reutemann
e l’ancora semisconosciuto Gilles Villeneuve.
C’è un dato che con molta chiarezza «quantifica», per così dire, la competitività della Ferrari nel Campionato del Mondo di Formula 1 del 1977: in 16 Gran Premi su 17, almeno uno dei due pi-loti della squadra si classificò fra i primi sei arrivati, ossia conquistò punti, e in sette occasioni vi riu-scirono tutti e due. La prima affermazione arrise a Carlos Reutemann, che si impose nel G.P. del Brasile. Niki Lauda, a sua volta, arrivò primo in Sudafrica, in Germania e in Olanda, secondo in altre sei occasioni, e inoltre una volta terzo, una quarto, una quinto: sul suo merito di riconquistare il massimo titolo automobilistico nessuno ebbe dubbi. Va detto che si trattò di una rivincita memo-rabile non soltanto dal punto di vista sportivo ma anche se non soprattutto da quello umano. Do-po il ritiro dal Gran Premio del Giappone dell’anno precedente, con cui in pratica si era giocato il campiona-to, era stato letteralmente sepolto da impietose polemiche. Ma a parte ciò, in seguito al terrifican-te incidente del Gran Premio di Germania – che fra l’altro lo aveva lasciato atrocemente sfigurato – erano in molti a considerarlo alla stregua di un pilota finito, o quasi.
Anche in seno alla Ferrari il pilota austriaco aveva visto logorarsi via via un rapporto partico-larmente costruttivo, che nell’arco di quattro anni aveva prodotto due titoli mondiali individuali e tre di squadra. Sta di fatto che, non appena ottenuta la certezza della vittoria finale per sé e per la squadra, dopo la terzultima gara, il G.P. degli Stati Uniti-Est, Lauda salutò e se ne andò, firmando per la Brabham. Sembrava un addio definitivo ma – il mondo gira, gira... – nel 1992 Niki sarebbe stato richiamato e avrebbe funzionato per diversi anni come consulente speciale della squadra del Cavallino. A richiamarlo sarebbe stato, non a caso, il presidente della Ferrari fresco di nomina, già direttore sportivo all’epoca del suo primo casco iridato, ossia Luca di Montezemolo.A sostituire Lauda, al fianco di Reutemann, nelle ultime due gare del campionato 1977, fu Gil-les Villeneuve, un canadese semisconosciuto, sul quale Enzo Ferrari aveva deciso di scommet-tere quasi al buio. L’inizio fu tutto fuorché incoraggiante: nel G.P. del Canada, Gilles danneggiò una macchina in prova e in corsa arrivò dodicesimo. Poi nel G.P. del Giappone urtò la Tyrrell di Ronnie Peterson e volò fuori pista, uccidendo due spettatori che sostavano in una zona vietata al pub-blico. Ma non passò molto tempo e quel piccolo pilota divenne forse il più veloce e sicuramente il più amato di tutti.
Anche in seno alla Ferrari il pilota austriaco aveva visto logorarsi via via un rapporto partico-larmente costruttivo, che nell’arco di quattro anni aveva prodotto due titoli mondiali individuali e tre di squadra. Sta di fatto che, non appena ottenuta la certezza della vittoria finale per sé e per la squadra, dopo la terzultima gara, il G.P. degli Stati Uniti-Est, Lauda salutò e se ne andò, firmando per la Brabham. Sembrava un addio definitivo ma – il mondo gira, gira... – nel 1992 Niki sarebbe stato richiamato e avrebbe funzionato per diversi anni come consulente speciale della squadra del Cavallino. A richiamarlo sarebbe stato, non a caso, il presidente della Ferrari fresco di nomina, già direttore sportivo all’epoca del suo primo casco iridato, ossia Luca di Montezemolo.A sostituire Lauda, al fianco di Reutemann, nelle ultime due gare del campionato 1977, fu Gil-les Villeneuve, un canadese semisconosciuto, sul quale Enzo Ferrari aveva deciso di scommet-tere quasi al buio. L’inizio fu tutto fuorché incoraggiante: nel G.P. del Canada, Gilles danneggiò una macchina in prova e in corsa arrivò dodicesimo. Poi nel G.P. del Giappone urtò la Tyrrell di Ronnie Peterson e volò fuori pista, uccidendo due spettatori che sostavano in una zona vietata al pub-blico. Ma non passò molto tempo e quel piccolo pilota divenne forse il più veloce e sicuramente il più amato di tutti.
Fonte: Gianni Cancellieri, giornalista e storico dell’automobile.
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