Jody Scheckter in azione al volante della 312 T4, la monoposto con cui conquistò
il titolo mondiale nel 1979. Sullo sfondo, a destra, il pilota sudafricano ritratto accanto al suo compagno di squadra e amico Gilles Villeneuve.
Nel cuore di numerosi appassionati ferraristi c’è un ricordo che il tempo non riesce a cancella-re. Per alcuni risale a un’esperienza «vissuta», per altri è frutto di racconti o di letture: è il ricordo del Campionato del Mondo 1979, dominato trionfalmente dagli uomini e dalle macchine del Caval-lino rampante. Dopo l’addio di Niki Lauda, col titolo iridato in tasca, a fine 1977, le cose non erano andate male. La 312 T3, evoluzione della T2, con una potenza portata a 510 CV e con i nuovi pneumatici Michelin a carcassa radiale – assolutamente inediti per la Formula 1 – aveva consenti-to a Carlos Reutemann di vincere quattro Gran Premi: Brasile, USA-Ovest, Gran Bretagna e USA-Est. Senonché, Mario Andretti e Ronnie Peterson, con la formidabile Lotus 78-Ford Cosworth, ne avevano vinti otto, e per i primi posti delle classifiche mondiali piloti e costruttori non c’era stata lotta. Gilles Villeneuve, per parte sua, prometteva faville ma altri tre incidenti nella prima parte del campionato 1978, a Rio de Janeiro, Long Beach e Montecarlo, avevano scatenato vivaci polemi-che. I meccanici della squadra lo soprannominarono «l’aviatore»: ma lo abbracciarono con entu-siasmo quando finalmente riuscì a tagliare per primo il traguardo, proprio sul circuito di casa, a Montréal, nel G.P. del Canada, ultima gara del campionato 1978.
Le premesse per un ritorno al vertice della Ferrari c’erano tutte: e lo si vide fin dall’esordio del-la 312 T4 nel G.P. del Sudafrica 1979, illuminato da una doppietta: primo Villeneuve, secondo Scheckter, che era subentrato a Reutemann. La monoposto di Maranello disponeva di una po-tenza più elevata di quella della T3 (515 CV) ed era equipaggiata di bandelle aerodinamiche mo-bili, più note come «minigonne», all’epoca oggetto di molte discussioni. Da quel momento in poi il Cavallino rampante divenne protagonista indiscusso del campionato: Villeneuve vinse ancora a Long Beach, Scheckter a Zolder e a Montecarlo, passando in testa alla classifica del campionato, sempre seguito a distanza di pochi punti dal suo compagno di squadra, che era anche suo amico e che proprio per questo, con lealtà esemplare, non gli fece mai la «guerra».
Jody trionfò poi nel Gran Premio d’Italia e la folla di Monza lo incoronò campione del mondo, mentre Gilles consolidò il suo secondo posto nella classifica iridata tagliando per primo il traguardo del Gran Premio degli Stati Uniti-Est, a Watkins Glen. Anche nella graduatoria dei costruttori la Ferrari fece il vuoto: la Williams, seconda classificata, finì staccata di 38 punti.
Le premesse per un ritorno al vertice della Ferrari c’erano tutte: e lo si vide fin dall’esordio del-la 312 T4 nel G.P. del Sudafrica 1979, illuminato da una doppietta: primo Villeneuve, secondo Scheckter, che era subentrato a Reutemann. La monoposto di Maranello disponeva di una po-tenza più elevata di quella della T3 (515 CV) ed era equipaggiata di bandelle aerodinamiche mo-bili, più note come «minigonne», all’epoca oggetto di molte discussioni. Da quel momento in poi il Cavallino rampante divenne protagonista indiscusso del campionato: Villeneuve vinse ancora a Long Beach, Scheckter a Zolder e a Montecarlo, passando in testa alla classifica del campionato, sempre seguito a distanza di pochi punti dal suo compagno di squadra, che era anche suo amico e che proprio per questo, con lealtà esemplare, non gli fece mai la «guerra».
Jody trionfò poi nel Gran Premio d’Italia e la folla di Monza lo incoronò campione del mondo, mentre Gilles consolidò il suo secondo posto nella classifica iridata tagliando per primo il traguardo del Gran Premio degli Stati Uniti-Est, a Watkins Glen. Anche nella graduatoria dei costruttori la Ferrari fece il vuoto: la Williams, seconda classificata, finì staccata di 38 punti.
Fonte: Gianni Cancellieri, giornalista e storico dell’automobile.
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