martedì 17 maggio 2011

Dipinto scomparso


 Cari amici Ferraristi e collezionisti.
vi chiedo di aiutarmi nella mia ricerca, grazie.

  Questo mio dipinto a tempera e acrilico, su cartoncino telato, formato 40x60 cm. dedicato alla
Ferrari 150 Italia di Alonso al box, è sparito dal locale "Rosso Fuoco" di Porta Lame a Bologna.
  Chiunque dovesse vederlo sulla parete di qualche appassionato di F1, è pregato di segnalarmi
il possessore così potrò fargli la dedica e consegnargli il certificato di autenticità che è rimasto
inutilmente in mio possesso.

mercoledì 11 maggio 2011

Ferrari celebra il 150° Anniversario Unità d'Italia


Tavola dedicata alla Ferrari F150° Italia della stagione 2011 di Formula 1, 
 dipinta a tecnica mista, tempera e acrilico su legno multistrato formato 25 x 40 cm.

lunedì 28 marzo 2011

1964 – All’ultimo respiro


Nell’immagine: Nürburgring, 2 agosto 1964, G.P. di Germania. John Surtees
al volante della 158 F1 e ritratto (a sinistra) accanto al compagno di squadra
Lorenzo Bandini, che lo aiutò nella conquista del titolo mondiale.

Dopo la duplice affermazione del 1961 – titoli mondiali piloti e costruttori – la Ferrari fu scossa da una specie di terremoto: otto dirigenti lasciarono Maranello per contrasti con il «Drake» e fra loro c’era anche il responsabile tecnico, l’ingegnere Carlo Chiti. Il suo posto fu preso da un giovane di grande talento, il ventiseienne ingegnere Mauro Forghieri, che si lanciò coraggiosamente nella battaglia: e l’espressione non suoni esagerata, visto che all’epoca la Ferrari, oltre che in Formula 1, gareggiava nel Trofeo Internazionale Prototipi GT, nel Mondiale Gran Turismo e nell’Europeo della Montagna. Questo per dire che l’attività di Forghieri e dei suoi due principali collaboratori, Franco Rocchi e Giancarlo Bussi, non poteva concentrarsi sulla Formula 1: e anche per questa ragione le stagioni agonistiche 1962 e 1963 videro i costruttori britannici – BRM e Lotus, rispettivamente – riprendere il sopravvento. Lo sviluppo della 156 diede risultati meno buoni del previsto, per cui si optò per un completo mutamento di indirizzo tecnico.
 Furono messi in cantiere un telaio e un motore 8 cilindri a V di 90° nuovi di zecca e accoppiati in modo inedito: il propulsore, infatti, aveva funzione portante, rigidamente fissato come era alla scocca anteriore, alla quale si integrava assorbendo le sollecitazioni di flessione e di torsione trasmesse dal retrotreno. La vettura, denominata 158 F1, apparve nelle prove del G.P. d’Italia 1963, ma il suo debutto fu rinviato alla stagione successiva e fu un debutto vittorioso, con John Surtees alla guida, nel G.P. di Siracusa. Poi, nelle gare del Mondiale, «Big John» incominciò a conquistare buoni piazzamenti e altrettanto fece Lorenzo Bandini, alternando alla 158 la «vecchia» 156, che peraltro gli consentì di aggiudicarsi il G.P. d’Austria. Surtees vinse a sua volta i G.P. di Germania e d’Italia e arrivò all’ultima gara, il G.P. del Messico, con la possibilità di lottare per il titolo con Graham Hill e Clark.
Hill fu attardato da una collisione con Bandini e Clark dominò l’intera corsa ma a due giri dal traguardo ruppe il motore. A quel punto, con Gurney primo, seguito da Bandini e Surtees, Hill era virtualmente Campione del Mondo. Ma dal box della Ferrari partì un segnale: Bandini rallentò e fece passare Surtees, che grazie a quel secondo posto riuscì ad agguantare il titolo – per sé non meno che per la squadra – non soltanto all’ultima corsa ma addirittura all’ultimo giro. Nel Campionato del Mondo non si era mai visto nulla di simile, né per molti decenni si vide più.


Fonte: Gianni Cancellieri, giornalista e storico dell’automobile.

1961 –Trionfo e tragedia


Nell’immagine: Spa-Francorchamps, 18 giugno 1961, G.P. del Belgio. Phil Hill (a sinistra)
 e Wolfgang von Trips, ritratti ai lati della tavola e alla guida delle 156 F1,
dominatrici incontrastate della stagione.

La Formula 1 con cilindrata massima di 2,5 litri restò in vigore per sette anni, dal 1954 al 1960, indi lasciò il posto a quella da 1500 cm3, deliberata dall’autorità sportiva internazionale nell’eterno quanto illusorio tentativo di limitare le velocità raggiungibili dalle monoposto e destinata a durare dal 1961 al 1965. La Ferrari aveva affrontato per tempo il nuovo tema tecnico, allestendo fin dal 1957 la Dino 156 F2, basata sul telaio della 801 accoppiato a un 6 cilindri a V di 65° della capacità di 1489 cm3. In quello stesso anno la vettura esordì conquistando con Maurice Trintignant un incoraggiante successo nella Coupe Internationale de Vitesse, sul circuito di Reims, dopodiché seguì due diverse linee di sviluppo. Da un lato fu adattata alla F1 in vigore, dando vita ai tipi 246 e 256, dall’altro fu sottoposta a una profonda trasformazione, che portò all’adozione della sospensione a ruote indipendenti, del motore inclinato per far passare l’albero di trasmissione alla destra del pilota, della trasmissione a cinque rapporti e via dicendo.
  Che la strada imboccata a Maranello fosse quella giusta lo si vide con la vittoria ottenuta nella primavera del 1960 da Wolfgang von Trips nel G.P. di Siracusa. Vittoria ripetuta quattro mesi più tardi dal pilota tedesco nel G.P. della Solitude, a Stoccarda, dove la macchina presentò la modifica di maggiore portata, consistente nell’installazione del motore in posizione posteriore-centrale. A quel punto la 156 F1, destinata a dominare il Campionato del Mondo 1961, era sostanzialmente impostata. Nell’inverno Carlo Chiti vestì l’autotelaio con una nuova carrozzeria, resa inconfondibile dalla doppia presa d’aria frontale che valse alla monoposto il nomignolo di «muso di squalo», e con la collaborazione di Franco Rocchi e Walter Salvarani diede al motore una nuova architettura, caratterizzata dalla V dei cilindri allargata a 120°.
  A cogliere le prime affermazioni fu comunque la versione a 65°, che con l’esordiente Giancarlo Baghetti vinse i G.P. di Siracusa e di Napoli. Poi vennero i quattro successi consecutivi di von Trips in Olanda, Phil Hill in Belgio, Baghetti in Francia, ancora von Trips in Gran Bretagna. Alla penultima gara, il G.P. d’Italia a Monza, von Trips era in testa al Mondiale con quattro punti di vantaggio sul compagno di squadra e grande amico Phil Hill. Ma al secondo giro, la Lotus di Clark tamponò la Ferrari di von Trips, che volò fuori pista. Il pilota tedesco perse la vita insieme con una decina di spettatori. Hill vinse la corsa e il titolo e anche la Ferrari si impose, per la prima volta, nella Coppa Costruttori.


Fonte: Gianni Cancellieri, giornalista e storico dell’automobile.

1958 – Un punto decisivo

Nell’immagine: Sintesi interpretativa della stagione 1958: Luigi Musso (in alto, a sinistra),
vittima di un tragico incidente nel G.P. di Francia, e Mike Hawthorn, campione del mondo,
in un intenso ritratto e alla guida della Dino 246 F1.


La monoposto schierata dalla Ferrari nel Mondiale 1958 nacque nel 1957 come uno sviluppo della Dino 156 F2, sul cui telaio era stato installato inizialmente, a scopo sperimentale, un motore di 1860 cm3, sostituito poi da una nuova unità di 2,4 litri, dotata di una potenza di 280 CV a 8500 giri. La vettura fu battezzata 246 F1, anzi, Dino 246 F1, con il nome del figlio di Enzo Ferrari scomparso immaturamente nel 1956, a soli 24 anni. Per molto tempo quella denominazione avrebbe identificato tutti – e soli – i motori Ferrari 6 cilindri a V, la cui concezione va fatta risalire, appunto, allo sfortunato figlio del costruttore. Poi, dal 1973, ossia da quando la 308 GT4, con motore 8 cilindri a V, fu chiamata Dino, anche la storia della nomenclatura Ferrari voltò pagina.
Ma torniamo al 1958 e a quel Campionato del Mondo, che ebbe un andamento tragico dal punto di vista umano (Luigi Musso, Peter Collins e Stuart Lewis-Evans persero la vita) e singolare dal punto di vista sportivo: basti pensare che Mike Hawthorn alla fine riuscì a precedere Stirling Moss pur avendo ottenuto una sola vittoria, nel G.P. di Francia, contro quattro del suo connazionale, scatenato al volante della Cooper e, più ancora, della Vanwall. Il fatto è che il regolamento dell’epoca assegnava in ogni gara un punto all’autore del giro più veloce e Hawthorn riuscì nell’impresa cinque volte contro le tre di Moss. Va detto inoltre che Hawthorn conquistò anche un maggior numero di piazzamenti – cinque secondi posti contro uno – e se alla fine ottenne il titolo con un solo punto di vantaggio, ciò si deve al meccanismo degli «scarti». A termini di regolamento, infatti, per ogni pilota valevano soltanto i sei migliori risultati: perciò Hawthorn poté totalizzare 42 punti contro 41 di Moss, mentre se avesse potuto sommare tutti quelli effettivamente ottenuti avrebbe vinto con un distacco di otto lunghezze, 49 contro 41.
Qualcosa di analogo si verificò anche nella classifica per marche, istituita da quell’anno, per l’assegnazione della Coppa Internazionale F.I.A. per Costruttori di Formula 1. Il trofeo se lo aggiudicò la Vanwall, precedendo di otto punti – 48 contro 40 – la Ferrari, ma se ambedue avessero potuto assommare tutti i punti conquistati sul campo, la sfida si sarebbe conclusa a quota 57 pari. Si sarebbe imposta la Vanwall ugualmente, grazie al maggior numero di gare vinte, ma la prestazione della Ferrari avrebbe avuto un più giusto riconoscimento. Questa norma, burocratica e comunque antisportiva, fu abolita soltanto alla fine del Mondiale 1990.mento. Questa norma, burocratica e comunque antisportiva, fu abolita soltanto alla fine del Mondiale 1990.

Fonte: Gianni Cancellieri, giornalista e storico dell’automobile.

1956 – Agonismo e cavalleria (Lancia Ferrari D50)

Nell'immagine:Monza, 2 settembre 1956, G.P. d’Italia e d’Europa. Musso (n. 28), Castellotti (24) e Fangio (22) in testa al via. 
Sullo sfondo, il vincitore della corsa Moss (a destra), a colloquio con Juan Manuel Fangio, al suo quarto titolo mondiale.


1956 – Agonismo e cavalleria
   
Dopo due anni – 1954 e 1955 – caratterizzati dalla schiacciante supremazia della Mercedes-Benz, la Ferrari affrontò l’edizione 1956 del Campionato Mondiale di Formula 1 con rinnovato impegno, schierando in pista uno squadrone che faceva capo al campionissimo Juan Manuel Fangio ma che poteva contare altresì su Peter Collins, Eugenio Castellotti, Luigi Musso e occasionalmente anche su Alfonso De Portago e Olivier Gendebien. Le macchine erano versioni derivate dalle Lancia D50, cedute alla Ferrari nell’estate precedente dal costruttore torinese, che aveva abbandonato le corse sia per il trauma provocato dalla tragica fine di Alberto Ascari sia per la problematica situazione finanziaria dell’azienda. Le monoposto, azionate da un 8 cilindri a V di 90° (2488 cm3, 265 CV), erano state via via rielaborate nel motore e modificate nella sospensione e nella distribuzione dei pesi dal loro stesso progettista, Vittorio Jano, approdato anche lui a Maranello in qualità di consulente, mentre il precedente responsabile tecnico Aurelio Lampredi lasciava la corte di re Enzo ed era successivamente rimpiazzato da un pool costituito dal giovane ingegnere Andrea Fraschetti nonché da Vittorio Bellentani, Alberto Massimino e Luigi Bazzi.
Rivelazione del campionato è Peter Collins, che Ferrari in cuor suo preferisce a Fangio. Il corridore britannico, che non ha ancora venticinque anni, vince i G.P. del Belgio e di Francia ma Fangio, oltre a essersi aggiudicato all’inizio dell’anno il G.P. d’Argentina prendendo la macchina di Musso dopo avere rotto la propria, si impone in Gran Bretagna e in Germania e riesce ad agguantare saldamente la testa della classifica mondiale. Il G.P. d’Italia e d’Europa è l’ultima gara in calendario e deciderà la sfida. Collins ha otto punti meno di Fangio ma può ancora sperare di ribaltare la situazione. Al 34° dei 50 giri da percorrere, Fangio è costretto a rientrare al box a causa di un guasto al volante e si rassegna ad abbandonare. A questo punto Collins è terzo dietro Moss e Musso. Se riuscisse a vincere segnando il giro più veloce, conquisterebbe nive punti e diventerebbe campione del mondo. Poco dopo si ferma a sua volta, per sostituire i pneumatici, e gli chiedono se sia disposto a cedere la macchina a Fangio – come il regolamento dell’epoca consente –, cosa che egli fa immediatamente senza la minima obiezione, a differenza di Musso, che qualche giro prima aveva rifiutato. Fangio così può classificarsi al secondo posto e cogliere il suo quarto alloro iridato (terzo consecutivo), tessendo poi del giovane e cavalleresco pilota inglese il più affettuoso degli elogi.

Fonte: Gianni Cancellieri, giornalista e storico dell’automobile.

1953 – Replica e primati

Nell'immagine: Monza, 13 settembre 1953, G.P. d’Italia.Alberto Ascari (n. 4) in azione, 
seguito a stretto contatto da Nino Farina in una concitata fase della corsa. I due alfieri della Ferrari sono ritratti in alto, a destra.


1953 Replica e primati

La Ferrari 500 F2 aveva mostrato le sue doti d’eccezione nell’arco dell’intera stagione 1952, trovando in Alberto Ascari un interprete senza uguali. Niente di più logico, dunque – anche se la logica delle cose non sempre coincide con quella delle corse – niente di più logico che la irresistibile «accoppiata» si ripetesse nel 1953, conquistando per il secondo anno consecutivo il massimo titolo automobilistico e arrivando a stabilire due primati sensazionali e di certo molto difficili da battere: quelli delle vittorie consecutive, per il pilota e per la vettura. Incominciamo dal pilota: fra il 1952 e il 1953 Ascari, per ben nove volte di fila, tagliò per primo il traguardo. La prodigiosa serie ebbe inizio nel 1952 con il G.P. del Belgio e proseguì con i G.P. di Francia, Gran Bretagna, Germania, Olanda e Italia: e siamo a quota sei. Alla ripresa del campionato, nel 1953, Ascari fu primo anche nei G.P. d’Argentina, Olanda e Belgio: e fanno, appunto, nove successi. Si può eventualmente eccepire – e c’è chi lo fa – che fra il G.P. d’Argentina e quello d’Olanda del 1953 si è disputata la 500 Miglia di Indianapolis, che all’epoca faceva parte del mondiale F1. Ascari tuttavia non prese parte a quella corsa ma è in ogni caso indubitabile che abbia partecipato consecutivamente a nove gare e le abbia vinte tutte e nove. Se peraltro si vuole pignoleggiare, si può anche suddividere questo primato in due «versioni», con due diverse classifiche: vittorie consecutive in base alle partecipazioni dei piloti e vittorie consecutive in base al calendario del campionato. Il risultato, comunque, cambia di poco: è sempre in testa Ascari, – perlomeno fino al 2002–  nel primo caso con 9, nel secondo con 7 affermazioni filate. Alle sue spalle, a rispettosa distanza, seguono con 5 en plein «a catena» ciascuno Jack Brabham (dal G.P. d’Olanda al G.P. del Portogallo 1960), Jim Clark (dal G.P. del Belgio al G.P. di Germania 1965) e Nigel Mansell (dal G.P. del Sudafrica al G.P. di San Marino 1992).
Ancora più impressionante è il ruolino di marcia della macchina, che può vantare al proprio attivo la bellezza di 14 successi in fila su 14 partecipazioni: 11 di Ascari, non consecutivi ma «collegati» in serie da altri tre della 500 F2, con Taruffi, Hawthorn e Farina, uno per ciascuno, rispettivamente nel G.P. di Svizzera 1952 e nei G.P. di Francia e di Germania 1953. Da allora è trascorso quasi mezzo secolo, il numero delle corse valevoli per il Campionato Mondiale di Formula 1 in una singola stagione è aumentato fino al doppio e oltre, ma non si è più visto nulla di simile.

Fonte: Gianni Cancellieri, giornalista e storico dell’automobile.

1952 – Il primo titolo Ferrari


Nell’immagine, Silverstone, 19 luglio 1952, G.P. di Gran Bretagna.
Alberto Ascari (n. 15), precede Piero Taruffi (17) e Nino Farina (16).
Sullo sfondo, Enzo Ferrari e Alberto Ascari sul muretto dei box di Monza, alla vigilia del G.P. d’Italia.


L’Alfa Romeo aveva egemonizzato con Nino Farina e con Juan Manuel Fangio le prime due edizioni del Campionato Mondiale Piloti di Formula 1, disputatesi nel 1950 e nel 1951. Ma la famosa Alfetta 158-159 – un litro e mezzo di cilindrata con compressore – era stata messa a dura prova e sconfitta in qualche corsa del 1951 dalle monoposto Ferrari tipo 375 F1 (quattro litri e mezzo ad alimentazione atmosferica). Sta di fatto che, in vista del 1952, l’Alfa Romeo annunciò il suo ritiro dalle competizioni, motivato da problemi di bilancio e da non confessate ma indubitabili pressioni politiche: l’industria milanese, di proprietà dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), era paragonabile in pratica a una specie di ente parastatale. A ciò si aggiunga il fatto che la Maserati attraversava un periodo di serie difficoltà e che la BRM non era ancora in grado di gareggiare in condizioni di affidabilità accettabili, sicché Ferrari era rimasto in pratica il solo costruttore che poteva garantire la presenza in corsa di una Formula1 competitiva. Come è facilmente intuibile, gli organizzatori dei Gran Premi vennero a trovarsi in una situazione veramente problematica e fu per questo che aprirono le loro gare alle monoposto della Formula 2, macchine che in base al regolamento potevano utilizzare motori sovralimentati fino a 500 cm3 oppure – come si verificò nella totalità dei casi – aspirati fino a 2000. E la Federazione Internazionale dell’Automobile non poté che fare di necessità virtù, ratificando tale scelta.
A Maranello, il responsabile tecnico Aurelio Lampredi mise a punto la 500 F2 (1984 cm3, 185 CV) che aveva esordito vincendo il G.P. di Modena con Alberto Ascari il 23 settembre 1951 e che era destinata a dominare per due anni la scena agonistica internazionale. Prima Ferrari azionata da un motore a 4 cilindri in linea, dotata di un’ottima accelerazione, stabile, maneggevole, resistente, nel 1952 vinse sette gare del Mondiale su otto, ossia tutte quante ad eccezione della 500 Miglia di Indianapolis, che all’epoca – dal 1950 al 1960 – era valevole per il Campionato e alla quale la Ferrari prese parte senza fortuna, con Ascari al volante di una versione potenziata della 375 F1. Piero Taruffi si aggiudicò il G.P. di Svizzera mentre Ascari era impegnato, appunto, nella trasferta americana, dopodiché «Ciccio», tornato al di qua dell’Atlantico, non ebbe più rivali e si impose in tutte le rimanenti gare della stagione, ossia Belgio, Francia, Gran Bretagna, Germania, Olanda e Italia, conquistando per sé e per il Cavallino rampante il primo titolo iridato.
Fonte: Gianni Cancellieri, giornalista e storico dell’automobile.

lunedì 21 marzo 2011

Giuseppe "Nino" Farina"



La folla (pericolosissimamente) assiepata ai margini del difficile circuito del Bremgartenwald di Berna ammira lo stile di Nino Farina, lanciato con l’Alfetta 158 verso una nuova vittoria nel quarto GP mondiale 1950 

NINO FARINA in giornata di grazia
I 46 secondi che la Ferrari di Villoresi era riuscita a recuperare sull’ALfa di Fangio, a Monaco, sono l’unico elemento che può rendere incerto (almeno un po’) il G.P. della Svizzera. La Casa di Maranello sta per abbandonare la strada del compressore e ha già pronto un motore aspirato di 3300 cmc. Il suo debutto, però, e rinviato. 
A Berna ci sono quindi le solite «125» doppio stadio. Unica novità: il telaio della vettura di Villoresi ha il ponte De Dion. Tre Alfa in prima fila, due Ferrari in seconda. Quattro secondi di distacco tra Fangio (nuovo al Bremgarten e tuttavia già a suo agio) e Villoresi; poco meno di un secondo tra Fagioli e Ascari.

La gara di Ascari dura cinque giri, quella di Villoresi dodici. Ma le Alfa Romeo sarebbero state comunque inattaccabili. In giornata di grazia. Farina prende subito il comando delle operazioni e la cronaca (Corrado Filippini) parlera di «potenza quasi irresistibile» della sua azione. Per seguirlo, Fangio chiede forse un po’ troppo al suo motore e al 35° giro si ferma per la rottura del piattello di una valvola. Al secondo posto si installa l’intramontabile 
Luigi Fagioli. Nelle retrovie, il duello fra Talbot e Maserati e vinto dalla Casa francese, terza con Rosier davanti a «Bira».

Cosi (in 11) al traguardo
1. NINO FARINA (Alfa Romeo), 42 giri pari a km 305,760 in 2 ore 02'53"7 alla media di 149,249 kmh
2. Luigi Fagioli (Alfa Romeo) a 4/10 di secondo
3. Louis Rosier (Talbot) a 1 giro
4. «Bira» (Maserati) a 2 giri
5. Felice Bonetto (Maserati) a 2 giri
6. Emanuel de Graffenried (Maserati) a 2 giri;
7. Nello Pagani (Maserati) a 3 giri;
8. Harry Schell (Talbot) a 3 giri;
9. Louis Chiron
(Maserati) a 4 giri;
10. Johnny Claes (Talbot) a 4 giri;
11. Toni Branca (Maserati) a 5 giri.

GIRO PIU VELOCE: Farina (Alfa Romeo) in
2'41"6, media kmh 162,178.

Fonte: Autosprint (33 anni di Gran Premi Iridati) 
di Gianni Cancellieri e Cesare De Agostini

Ferrari F 150° Italia 2011

All'inizio della stagione di Formula 1 2011 ho realizzato questa immagine per commemorare il 150° anniversario dell'Unità d'Italia (l'uscita dal tunnel)